La crisi odierna e quella del 1929/I crolli del passato e le ricette utili ai nostri giorni Quando le soluzioni "mercatiste" non bastano La ricerca per governare gli squilibri generati dalla globalizzazione di Gianni Ravaglia Non pochi economisti individuano analogie tra la crisi finanziaria attuale e quella del 1929. La crisi più rovinosa del secolo scorso derivò da una crisi di liquidità delle banche Usa che avevano erogato, in particolare alle aziende dei paesi europei devastati dalla guerra, prestiti a lungo termine, mentre la loro raccolta di fondi avveniva a breve termine. A seguito di un rallentamento della produzione, le banche non furono più in grado di far fronte ai propri impegni, né poterono rientrare dai finanziamenti prestati a lungo termine. Il governo Hoover e la Banca Federale lasciarono che il libero mercato facesse il suo corso. Non immisero nuova moneta nel mercato, lasciarono fallire le banche in crisi, così spingendo sul lastrico milioni di cittadini e imprese, sia negli Usa che in Europa. La crisi economica che ne seguì, contribuì non poco anche alla nascita di regimi totalitari in Europa. Roosevelt, con il New Deal, avviò una politica inflazionistica, con ampi interventi statali coniugati, però, ad un forte protezionismo. Furono necessari dieci anni per rilanciare la crescita; i prezzi sociali e politici furono drammatici. Nel secondo dopoguerra, la crisi finanziaria fu, invece, affrontata con scelte assai diverse. Nel 1944 nacquero gli accordi di Bretton Woods, che riportarono in equilibrio il caos dei cambi tra i paesi industrializzati e, proprio perchè memori della grande depressione, vennero aperte le frontiere, ridotti i dazi doganali e rilanciato il libero scambio. Con il piano Marshall si immisero poi nel mercato ingenti risorse, tramite accordi diretti tra Stati. In Europa nacque il nuovo Mercato Comune. I singoli paesi utilizzarono in modo diverso le nuove opportunità. Mentre negli Usa rimase prevalente la logica di mercato per l'allocazione delle risorse, in Europa, soprattutto in Francia e Italia, fu privilegiato l'intervento dello Stato, anche se, grazie a Ugo La Malfa, vennero aperte le frontiere. Anche oggi, le banche americane, piene di danaro derivante dagli anni di crescita economica indotta dalla rivoluzione informatica e dalla delocalizzazione delle industrie, hanno finanziato prestiti e mutui immobiliari a lungo termine, scontando un livello costante di crescita della ricchezza. Il venir meno di tale costanza, con il rallentamento della crescita, ha generato un nuovo squilibrio tra entrate a breve e prestiti a lungo termine. I mancati controlli su una speculazione, innestata, come sempre, su uno squilibrio in atto, ha enfatizzato la crisi. Stante il fatto che lo squilibrio delle banche internazionali, tra liquidità a breve e prestiti a lungo termine, si stima tocchi i mille miliardi (quasi due terzi del prodotto interno lordo italiano!), se i governi si comportassero secondo i canoni delle teorie liberiste, quelle che Tremonti chiama "mercatiste", i risultati, come nel '29, sarebbero devastanti. I governatori delle banche centrali, stimolati da uno dei maggiori conoscitori della crisi degli anni venti, quel Ben Bernanke che guida la Banca Federale Usa, hanno, invece, immediatamente immesso nel mercato danaro fresco. Per garantire la liquidità e la solvibilità delle banche sono stati emessi prestiti a lungo termine e, in Gran Bretagna, si è anche nazionalizzata una banca. Questo breve excursus storico può servire per meglio comprendere il presente. Quando Tremonti chiede di organizzare una nuova Bretton Woods, per regolare i cambi anche nei confronti delle nuove tigri economiche asiatiche, di dettare nuove regole per il commercio internazionale che tengano conto degli squilibri socioeconomici tra paesi, di lanciare una nuova area di libero scambio tra Europa e Usa, di finanziare la crescita europea con l'emissione di prestiti da parte della Banca Centrale Europea, mi pare che abbia ben presente la storia economica del secolo scorso e gli effetti che hanno avuto le diverse politiche. Peraltro, l'Italia del centrismo seppe bene utilizzare le nuove opportunità che gli accordi di Bretton Woods e il piano Marshall avevano creato, innestando una crescita che mai si era vista prima. E che non sarà più raggiunta per il semplice motivo che, successivamente, in Italia, sono stati nazionalizzati anche i panettoni. Alla luce della passate esperienze, paiono, dunque, pertinenti le proposte di Tremonti, atte ad ottenere misure adeguate per impedire la deflagrazione di una grave crisi finanziaria e per governare gli squilibri generati dai processi di globalizzazione. Scelte queste che non sono in contraddizione con una decisa azione per liberare l'economia nazionale dai macigni di uno statalismo becero e distorto. Al contrario, questi, oggi, possono rappresentare tre obiettivi di un'unica politica. Per tornare a crescere. |